venerdì 13 novembre 2009

Ischia, another one




Sotto a chi tocca, morta diciassettenne a Ischia sotto una colatona di fango che si è attivata a seguito del distacco di un pezzo di collina.

Eccone un'altra. Questa volta fa specie però un'altra cosa: siccome il morto è uno solo allora un solo giorno sui quotidiani. Evidentemente una ragazza di 17 anni morta sotto una colata di fango non fa la stessa notizia che fanno i morti di "Messina" o forse è meglio per il momento dedicarsi a chi sarà il nuovo governatore della Campania o con chi tromba chi. I morti tanto sono morti e di votare non votano più.
La rabbia sta però nel fatto che la situazione è sempre la stessa: a valle dell'area di distacco erano stati sbancati 300 metri cubi di terra senza alcuna autorizzazione. Allora usciamocene così: se la sono cercata! Già perchè la cosa simpatica è che non è che ci pensiamo a fare i controlli (e le leggi ci sono), no, i controlli non si fanno perchè gli enti di controllo non hanno i soldi!

Notizia di domenica scorsa è una splendida conferenza stampa del Ministro per l'Ambiente, Stefania Prestigiacomo, che su Repubblica raccontava come siano stati investiti tanti bei soldini per il controllo del territorio (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/11/06/frane-una-mappa-di-case-fiumi-con.html ) tramite la tecnologia del laser scanner aereo. Cito testualmente il titolone "Aerei in ricognizione a 6 mila metri di quota, mini elicotteri in volo a 300 metri d' altezza. E' la formazione per la guerra alle frane e alle alluvioni." E dopo 4 righe continua "La tecnica del laser scanning è quella utilizzata dai sommergibili e copia le capacità sviluppate dai pipistrelli per misurare con grande precisione, nel buio, lo spazio a disposizione...". Si, peccato che il raggio laser in acqua non si propaga, è l'unico caso di riflessione totale fisica di una radiazione elettromagnetica... Brava ministra, brava davvero!
A parte che non è vero che è la prima volta in cui si utilizza questa tecnologia per il monitoraggio delle frane (e questo blog ne è la prova provata!), a parte che i sommergibili utilizzano il radar per la localizzazione (ed anche il radar può essere usato per il monitoraggio delle frane, come descritto in più post di questo blog), ma il problema è un'altro.
Se chi deve stanziare i soldi per il monitoraggio non ha ben capito come si fa e a cosa serve il monitoraggio e soprattutto quali e quanti soldi siano realmente necessari, andiamo veramente veramente male.
Vitrociset per inciso intascherà 9,4 milioni di euro, un pò tanti a mio avviso.

Pur non di meno il problema è sempre lo stesso, perchè dopo che si fa lo scouting di tutte le frane con 9,4 milioni di euro regalati a Vitrociset (bastava collegarsi ale geoportale della comunità europea per avere gli stessi dati gratuitamente...), poi le scelte son sempre quelle di fare una bella sanatoria. E si scopre pure che ad Ischia gli stessi soldi erano stati stanziati per rimettere a posto tutti i valloni, peccato che non sono mai stati spesi. Allora dove sta il problema? Il problema è sempre lo stesso: non c'è un minimo di programmaticità in queste scelte, non c'è un approccio ambientale condiviso fra tutti gli enti che si occupano di territorio e soprattutto non c'è assolutamente alcuna attenzione se non quando capita la disgrazia, ed anche lì solo ed esclusivamente per un limitatissimo periodo di tempo.
Approposito, qualcuno sa come son finite le case dei messinesi? Qualcuno si è accorto che non se ne parla più? Cos'è i nostri amministratori hanno speso tutti i soldi per le stampelle appendiabiti e lo spumantino delle C.A.S.E. dell'Aquila?

Io mi fermo quì, a voi.

domenica 18 ottobre 2009

Alluvione in Sicilia: per colpa di chi????






Messina, 2 ottobre 2009.

Un evento meteorologico avverso ed altamente impattante si abbatte sul messinese, in particolare sull'area di Giampilieri e Scaletta Zanclea. Un fronte roccioso si distacca dal versante che insiste sull'abitato, si incanala in un vallone e si abbatte sul paese prima di raggiungere il mare.

Risultato: 29 morti accertati, 7 dispersi, ovviamente sotto il fango. Questi più o meno i fatti.

Ma io non faccio informazione, io provo a dare un'opinione sui fatti.

Tante cose sono state raccontate sull'alluvione, per definire le responsabilità, per incolpare o per discolparsi, per scaricare la rabbia su qualcuno o ancora per dire "te la sei andata a cercare". A mio avviso la valutazione è sempre la stessa e la cosa che non ha funzionato pure. Anzi, sono due.

In primo luogo c'è la gestione del territorio. Al di là del fatto che le aree in questione fossero o meno martoriate dall'abusivismo, molti sostengono che le case non erano abusive (certo erano state sanate o condonate in larga parte), il fatto è è rimane che lì quelle case non aveva senso che ci stessero, almeno quelle nuove. Se è vero che ci sono case che stavano lì da 200 anni e che lo sviluppo di quei paesi e di quei luoghi è sempre coinciso con un uso del territorio obbligatoriamente gestito in questa maniera (lo spazio tra la montagna ed il mare è limitatissimo) non vedo come si apossibile che in Liguria la stessa gestione del territorio, non di rado ancora più esasperata dall'immane moltitudine di promontori, non ha portato ancora a situazioni come quella. Il fatto è che probabilmente la pianificazione territoriale è intesa come la programmazione "geometrica" della lottizzazione del territorio. Probabilmente si intende quindi per pianificazione territoriale non una programmazione di interventi, definizione di aree di sviluppo, gestione di interventi di difesa e conservazione del suolo ma solo ed esclusivamente definizione delle aree nelle quali andare a costruire e cementificare. Anzi, pegggio, si intende formalizzare che si può costruire dovunque. Vero è che il palazzotto investito dalla frana ha retto, vero è era fatto bene, vero è che non era abusivo e vero è pure che stava all'interno delle aree in cui si può costruire, e vero è pure che il fiume si è ripreso il proprio spazio e se l'è tirato sotto. Allora ecco trovata la responsabilità: è colpa del fiume! O forse invece quando si fa pianificazione territoriale lo studio geologico si fa realmente? o forse che quando noi geologi veniamo chiamati dall'amministratore di turno a fare lo studio geologico del piano di governo del territorio sarebbe il caso di studiarlo davvero sto territorio???? Forse che dovremmo fare una valutazione di deontologia professionale e di onestà intellettuale anzicchè pensare che se non diamo la possibilità di lottizzare i terreni il sindaco la prossima volta non ci da l'incarico??? Perchè questa cosa a tanti professionisti l'ho sentita dire, e non una volta soltanto. Quindi prima di tutto esame di coscienza.



Secondo problema: la montagna viene giù, la montagna non la puoi fermare e ormai le case ci stanno sotto. Che si fa in questo caso? La valutazione in primo luogo è: le case sono perse comunque. La seconda valutazione è: le persone però le posso togliere da li sotto. Già perchè paradossalmente quello lo possiamo ancora fare. Ed è quì la distribuzione delle responsabilità, direi lo scario delle responsabilità. Sta proprio quì.
L'unico modo per riuscire a beccarsi le frane che inevitabilmente ci saranno e che non si possono evitare è non starci sotto. Si perchè i 25 miliardi di euro raccontati da Bertolaso sono chiacchiere. Con 25 miliardi di euro ci sistemi, forse, tutto quello che conosci oggi come area di rischio in tutto il paese nell'arco di 15 anni, non in 15 giorni. Nel frattempo ci sono due problmeucci: le frane che non arrivi a sistemare in tempo ti vengono in testa lo stesso, il secondo è che per effetto di quella strana tendenza geologico anatomica della peneplanazione, di dissesti se ne creano di nuovi, che però non stanno nei 25 miliardi di euro. E allora come la mettiamo?
Ribadisco che l'unico modo che c'è per non morire di alluvione è non starci sotto quando avviene. E come si fa, mi direte? La risposta è semplice quasi come la domanda: si va via prima che avvenga.

Dal 2004 sono stati emessi degli strumenti normativi tanto belli quanto inteliggenti (per citare utilente un uomo inutile...). Si chiama "direttiva centri funzionali", nel gergo, ha un nome più lungo che mi secca scrivere. E' comunque il Decreto del Presidente del Consigloio dei Ministri del 27 febbraio 2004 successivamente modificato il 25 marzo del 2005. Sto stranissimo sistema normativo prevede che ci sia gente che passa il tempo a fare previsioni meteorologiche a lungo termine e di now casting, e sulla base di queste emetta diversi strumenti NORMATI E CODIFICATI che di fatto raccontano la situazione o ALLERTANO le strutture locali di protezione civile per le successive attività di prevenzione. Già perchè le attività di protezione civile cominciano dalla previsione e poi passano alla prevenzione (Legge 225/92) anche se tutti se lo dimenticano sempre! Quindi il sistema prevede le seguenti fasi:
- previsione meterorologica;
- comunicazione dei vari livelli di allertamento alle strutture locali di protezione civile (il sindaco per capirci!!!);
- azioni di governo delle piene, polizia idraulica e, se del caso, evacuazioni preventive.

In realtà il sistema è un pò più complesso ma mi passerete questo riassuntino.

Allora dov'è il problema? cosa non ha funzionato a Messina? Eh cazzarola! ce ne sono di cose che non hanno funzionato!
In primo luogo la direttiva prevede che ogni regione deve avere il suo centro funzionale e che fino alla creazione del centro funzionale decentrato regionale la previsione la fa il centro funzionale nazionale. Primo problema quindi: la Sicilia dal 2004 ad oggi il suo centro funzionale allegramente non se l'è ancora fatto e si prende gli allertamenti da Roma che ovviamente ha un polso della situazione esclusivamente legato a quello che vede dagli strumenti. Peccato che il polso della situazione, in casi di eventi meteo, te lo puoi fare in fase di now casting affacciandoti al balcone, peccato però anche che in Sicilia non c'è nessuno che si affaccia al balcone perchè non c'è l'organo deputato ad affacciarsi al balcone!
Secondo problema: se Roma manda un allerta meteo "avviso di criticità di carattere ordinario" (livello di allertamento ben codificato che significa "signor sindaco comincia a muoverti!!!" anch quì mi passerete il riassuntino) ed il sindaco, "autorità locale di protezione civile", non conosce la direttiva e non sa che significa avviso di criticità, è un bel casino!!! Si perchè se io ti dico muoviti e tu però parli inglese, finchè io non ti dico go tu ti stai bellamente fermo. E di chi è la colpa??? Io direi che il sindaco è tenuto a parlare inglese!! Il livello di criticità non è convenzionale, è normato! Ordinario significa go! significa muoviti! Anche se in italiano ordinario significa ordinario. Se lo avessero chiamato livello di criticità paperino, benchè paperino sia simpatico, normato significa normato!
Terzo problema è che nel caso di Messina c'è di più. Si perchè quand'anche il sindaco avesse avuto l'arguzia di andarsi a leggere la direttiva centri funzionali ed avesse anche ben pensato di capire che con l'avviso di criticità ordinaria non si sta con le mani in mano, gli mancava un elemento simpaticamente utile quanto assolutamente assente: il fatico piano di protezione civile. Wow, rieccolo finalmente... Sometime they came back. ed infatti sempre ad un punto siamo: monitoraggio, allertamento, evacuazione. La grande triade.

E allora siamo ancora convinti che non si possano individuare le responsabilità?
Pensiamo ancora di poter andare avanti gestendo la difesa del suolo solo con opere attive o cominciamo a prendere consapevolezza del fatto che esistano soluzioni diverse e chi se ne frega poi se la gente non vede la macroopera, l'importante è che non ci resti secca sotto cavolo!

Ultima valutazione: il silvio nazionale che uscendo il 6 ottobre dalla prefettura dichiara: "vi faremo le case come in Abruzzo, solo il problema quì è idividuare aree idonee perchè non ce ne sono". Come non ce ne sono????? Non ci sono zone sicure??? E se non ci sono zone sicure le fondazioni del ponte più lungo del mondo dove le fai in zona insicura??? Mi pare una grande idea!

lunedì 4 maggio 2009

Il terremoto in Abruzzo… sunto di un “soccorritore”!




Il 6 aprile 2009 un sisma del 5,8° Richter si è abbattuto sulla città dell’Aquila e sulle aree circostanti: 299 morti, migliaia di sfollati, migliaia di edifici inagibili o parzialmente inagibili, migliaia di abitazioni devastate, milioni di euro di danni. E questo lo sapevate.

Oggi che mi siedo a scrivere è passato un mese, abbiamo metabolizzato tutti, chi più e chi meno gli effetti mediatici della faccenda, abbiamo tutti quanti conosciuto in maniera più o meno reale i bilanci e tutti siamo consapevoli dei se e dei ma che stanno dietro questa storia. Io oggi, a 1° giorni dal mio ritorno dalle terre terremotate, finalmente mi sento di esprimere una opinione che ritengo oggettiva sulla faccenda, limitando il più possibile il trasporto interiore legato alla permanenza in Abruzzo ed a quello che ho visto. Tra le cose da limitare, e questo è la grande difficoltà, c’è l’indignazione, generalizzata, verso molti.

Non starò a dire come è stata organizzata la macchina dei soccorsi, che ritengo comunque abbia funzionato in linea di massima nonostante le grandissime difficoltà, ne starò a dire quanto terribile è stata la visione di alcune cose e struggente la conoscenza di alcune persone, ma vi garantisco che la tentazione è forte!

Il sisma nasce dall’attivazione di una faglia, già ben conosciuta, e la cui evoluzione tutti seguivano da tempo (io personalmente guardavo i dati almeno dal 16 gennaio): zona sismica lo era e lo si sapeva.

Le avvisaglie obiettivamente c’erano ma come sappiamo noi geologi definire come, dove e quando è al momento impossibile. Certo è che comunque quello che è il servizio di protezione civile in Italia (Legge 225/92) risponde oltre che all’attività del soccorso anche a quella della previsione (in questo caso ribadiamo impossibile) ma anche della prevenzione! E su questo si è lavorato poco e niente. Al solito come migliaia di volte mi è capitato di sostenere la prevenzione la si può fare in due modi diversi: interventi non strutturali ed interventi strutturali. Qualcuno dira: “ anche in ambito di rischio sismico?” La risposta è affermativa.

Vai giù e ti accorgi che anche le catapecchie di più di 100 anni, ristrutturate o restaurate con le catene hanno retto, quelle con i tetti legati hanno evitato che si aprissero come scatole di scarpe ammazzando la gente. Andando giù ti accorgi che le costruzioni dove sono rispettati i canoni delle norme (perché cazzo le norme ci sono!!!!!) hanno retto (stati limite ultimi e di tutela della vita umana)… Si, se rispettate le norme la gente non è morta. E poi ti accorgi anche di abitazioni e costruzioni in cui gli stili costruttivi si incrociano: sottoscala con volta a botte con primo piano in pietrame legato e secondo in mattoncini e tetto in legno, ed ecco la frittata! Ma la domanda è: di chi è la colpa???? Alla fine, dopo un po’ di riflessioni mi accorgo che la colpa è sempre nostra: dei tecnici. Dei tecnici che fanno la libera professione senza scrupoli o di quelli che nel pubblico lavorano male ed in maniera sciatta dando condoni ed autorizzazioni come se fossero ammende amministrative. E’ sempre nostra! E dico nostra non perché io lavoro male, do il meglio ogni giorno, e nemmeno perché chi mi legge penso che lavori male, ma siccome non possiamo indicare chi, quando e come allora la cosa giusta è dire che fallisce l’intera categoria e che ognuno di noi, anche se solo per un piccolo pezzo, è responsabile sempre!

Già perché quando si scrivono le norme tecniche per le costruzioni la diatriba nasce su chi può o non può fare qualcosa (e poi ti accorgi che case costruite su un substrato perfetto e con la perizia dell’ingegnere geotecnico reggono, vero, ma poi stavano sotto ad un versante pieno di nicchie di crollo delle quali il geotecnico non si è accorto ed ecco che con lo scuotimento parte il bombardamento ed un blocco di 2 tonnellate piomba in camera da letto!) e non si ragiona sulla filosofia delle cose: è giusto pensare agli stati limite ultimi? A mio avviso no, è una cazzata, perché se la struttura regge e poi ti casca in testa un tramezzo muori uguale, con la differenza che però chi ha progettato la casa ha la coscienza pulita! E invece poi vai giù e scopri che c’è chi ha costruito per se e per la sua famiglia il bunker e l’operazione è riuscita con successo: due lezioncine e tutti salvi! QUESTA E’ PREVENZIONE in maniera strutturale!

Ma c’è quella non strutturale: quella che ti permette di fare gli studi sul territorio a tappeto, no che se li stanno facendo adesso (vedi gazzetta ufficiale di oggi e relativa ordinanza), quella che dopo due mesi che la terra trema, per si e per no quattro tende le monti, come hanno fatto in Garfagnana. Vero è che hanno avuto culo e che hanno fatto un bel passone evacuando i entri storici, ma vero è pure che morti non ce ne sono stati. Per la cronaca la questione del Radon. Mentre ero giù la gente non faceva altro che chiedere se è vero, e come se non bastasse gli sciacalli a divulgare informazioni false: secondo i calcoli il 23 ci sarebbe stata una nuova scossa, addirittura il tizio aveva allertato le prefetture (o almeno questa voce girava in DICOMAC) per una possibile scossa addirittura del 7°/8° grado… ce ne sono state due del 4° e non penso che vada bene lo stesso perché la somma fa 8! Con questo non voglio dire che la questione radon sia una cazzata però attenzione a dire le cose, perché poi la gente quando gli muoiono i parenti ne vuole giustamente conto e ragione, e quando ci vai in casa a fare le valutazioni di stabilità degli edifici (cosa che da geologo ho fatto e mi scuso con gli ingegneri che mi leggeranno ma me lo hanno chiesto e l’ho fatto e ad oggi non è morto nessuno!!), la gente ti chiede…

E queste le note polemiche.
Le note tecniche al prossimo post. Per comodità sto creando un album picasa per condividere qualche foto che ho fatto giù, magari qualcuna già vista, ma le frane sismo indotte dell’area circostante l’Aquila però credo che non se le sia cagate nessuno e quindi ve le propongo io (del resto non davano ne tristezza ne facevano venire il magone e quindi perché i giornali avrebbero dovuto tenerle in considerazione??

venerdì 30 gennaio 2009

Fiume Colorado, la grande truffa!


Da Repubblica ambiente di oggi (30 gennaio 2009) l'articolo seguente...

e chi lo avrebbe mai detto?

Nel frattempo da noi la Calabria continua a franare...




Usa, declina il fiume ColoradoPericoli per il Grand Canyon
L'amministrazione Bush ha ignorato o falsato i responsi delle ricerche sulle risorse idriche Usa. A farne le spese, l'ecosistema di uno dei parchi più famosi del mondo di CRISTINA NADOTTI
Una veduta dal Grand Canyon
RAPPORTI scientifici falsificati per aggirare il parere degli esperti sui rischi ambientali. È solo l'ultimo di uno dei tanti misfatti dell'amministrazione Bush in fatto di tutela ambientale, e a farne le spese è stato questa volta un monumento naturale, il Grand Canyon. Il quotidiano americano Washington Post ha svelato che il ministero dell'Interno ha voluto ignorare, e in alcuni casi modificare, i responsi di ricerche scientifiche sulla corretta gestione delle risorse idriche del fiume Colorado. Così facendo, la fauna e l'ecosistema in generale del Grand Canyon, secondo il gruppo ambientalista Grand Canyon Trust, sono stati fortemente danneggiati. Una disputa annosa. Le dighe su invasi che afferiscono al Colorado sono al centro di una disputa annosa. Le acque che alimentano il fiume forniscono energia idrica e il loro fluire viene regolamentato a seconda del fabbisogno di energia elettrica della zona. Se però l'apertura o chiusura delle dighe è utile per le centrali idroelettriche, non è detto lo sia altrettanto per l'ecosistema del Grand Canyon. Gli ambientalisti sostengono infatti che una regolazione dei flussi non sia naturale visto che, per sua natura, il Colorado è caratterizzato da periodi di piene e di siccità. Al contrario, le centrali elettriche richiedono un flusso quasi costante e, per risparmiare, vogliono chiudere alcune dighe durante le ore notturne, quando c'è bisogno di meno potenza. Il piano quinquennale. Lo scorso febbraio il ministero degli Interni, che si occupa anche di gestione dell'ambiente, ha approvato un programma che prevede soltanto una piena all'anno, avvenuta nel marzo 2008, dopo la quale il Colorado avrebbe avuto un flusso regolato fino al 2012. Ogni decisione su come gestire le acque è stata quindi rimandata, sulla base dei risultati di studi costati al governo federale oltre 100 milioni di dollari. Ma questi studi, sostengono le associazioni ambientaliste, dicono chiaramente che il Colorado starebbe molto meglio con più piene occasionali e il governo ha voluto ignorarli. Al loro posto, secondo quanto sarebbe sfuggito alla dirigenza del Grand Canyon National Park, sono stati prodotti studi falsificati o incompleti, emendati delle parti contrarie agli interessi delle grandi aziende che possiedono gli impianti idroelettrici.
Gli animali vittime di Bush. Tra le vittime della politica senza scrupoli dell'amministrazione Bush ci sono dunque ora anche i Gila cypha, pesci d'acqua dolce tipici di alcuni fiumi statunitensi, oltre alle spiagge del Colorado, minacciate dall'erosione a causa della politica di gestione delle dighe. In particolare la popolazione dei pesci è oggetto di una disputa nella disputa perché il governo ha sostenuto, nel varare il piano quinquennale, che la popolazione di Gila cypha non è a rischio, mentre gli ambientalisti sostengono che i pesci dovrebbero essere inseriti negli elenchi delle specie a rischio. La fauna del Grand Canyon è solo l'ultima a essere messa in pericolo dalle scelte dell'amministrazione Bush: i salmoni furono tra le prime, specie già a rischio falcidiata dalle politiche repubblicane per la pesca e la costruzione di dighe. Inoltre, il presidente aveva tagliato i fondi alle ricerche pubbliche sulle specie in via di estinzione, ricerche che, anche quando venivano fatte, sono state spesso ignorate.
La sfida del ministro Salazar. Ken Salazar, il segretario di Stato agli Interni nominato da Barack Obama non ha voluto fare dichiarazioni sul caso specifico del Grand Canyon. Tuttavia i suoi intenti, in accordo con il programma del nuovo presidente, sono di invertire la rotta dell'amministrazione Bush e di mettere almeno sullo stesso piano gli interessi economici e quelli ambientali. "Non ci saranno più le sviste del passato", ha avuto modo di dire il ministro nei giorni scorsi, e gli ambientalisti gli hanno subito lanciato un appello: "Se vuole davvero cambiare, cominci dal suo ministero", sfidandolo a liberarsi degli impiegati e funzionari abituati a tenere in maggiore conto le ragioni degli industriali rispetto a quelle dei rapporti scientifici.

giovedì 29 gennaio 2009

Resta di stucco...

Propongo in successione tre articoli tratti da Repubblica di questi ultimi due giorni. Mi lascia perplesso il fatto che i tre fenomeni hanno investito le due regioni che devono essere collegate dal Ponte. Interessante anche il fatto che la A3 è chiusa per 60 Km e nel tratto che di fatto collega alla zona dove dovrebbe essere fondato il pilone calabrese del ponte sullo stretto – simpatica coincidenza!
La constatazione diventa poi drammatica se si pensa che la prima delle frane è in area PAI a massimo rischio idrogeologico (e infatti!!!!) e per le atre, soprattutto quelle nella zona di Tropea, per i lavori di ammodernamento della Salerno – Reggio Calabria (A3) è stata formulata la richiesta di variazione del PAI.
Io rimango di stucco di fronte a tanta inedia ed indifferenza e mi piacerebbe sapere se e come rispondono i tecnici degli enti pubblici che si occupano di queste concessioni folli.
Ovviamente le riflessioni ed i commenti non si fermano a questo, ma per il momento la rabbia è tanta e la lucidità non altrettanta.

Maltempo, frana sulla A3 a CosenzaDue morti e 5 feriti. Uno è molto grave
I geologi: "I nostri allarmi regolarmente inascoltati"
COSENZA - Sepolti dal fango nella loro auto in autostrada. E' di due morti e 5 feriti, di cui uno molto grave, il bilancio di una frana che ha invaso nella notte entrambe le carreggiate dell'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria tra gli svincoli di Rogliano e Altilia Grimaldi. Una massa di fango e detriti staccatasi per la pioggia da una collina ha seppellito un furgone che si muoveva in direzione sud sul quale viaggiavano sette persone, l'allenatore di una squadra di calcio e sei giocatori. Due ragazzi sono riusciti a salvarsi mentre altri due sono stati estratti vivi dopo diverse ore di lavoro. Per altre due persone però non c'è stato nulla da fare. Una delle vittime si chiama Nicolino Paliano, 59 anni originario di Cotronei (Crotone). Se è stata liberata da fango e detriti la carreggiata nord, le squadre dei vigili del fuoco e dell'Anas stanno proseguendo i lavori per rendere percorribile anche l'altra corsia. Al momento, secondo quanto si è appreso dal personale dell'Anas che è sul posto, non ci sono altri mezzi e persone travolti dal fango. L'uomo in gravi condizioni è ricoverato con altre due persone nel reparto di neurochirurgia dell'ospedale di Catanzaro. Altri due feriti si trovano nell'ospedale di Lamezia Terme, ma le loro condizioni non sono gravi. Sempre nel Cosentino due persone sono rimaste ferite mentre, a bordo delle loro automobili, stavano attraversando un ponte sul fiume Crati che è improvvisamente crollato a causa dell'esondazione del fiume Crati. Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco che hanno soccorso i due automobilisti accompagnandoli nell'ospedale di Cosenza. Le loro condizioni non destano preoccupazione. Gli allarmi inascoltati. "Più volte abbiamo lanciato l'allarme sulla devastazione del territorio calabrese, ma nessuno ci ha mai ascoltato. Ed ecco cosa succede", dice il presidente dell'Ordine dei geologi della Calabria, Paolo Cappadona. "Quello che è successo la scorsa notte è da terzo mondo. In Calabria c'è un territorio devastato, ma ogni volta che cerchiamo di sensibilizzare le istituzioni ci scontriamo con un muro di gomma". Sul caso è intervenuto anche il presidente della Regione Agazio Loiero. L'autostrada Salerno-Reggio Calabria è un caso nazionale, ha detto, "e infatti, io l'ho sollevato non più di due mesi fa. Però, in questo momento ci sono dei morti. Ci sono delle famiglie... E dunque, io non voglio farne una questione che possa suonare in qualsiasi modo strumentale. Prima di ogni altro discorso, è giusto capire bene che cosa è successo. Certamente, ci sarà il tempo di fare anche altre considerazioni".
Maltempo provoca frana a Tropeastrage evitata per un soffio
Tra nuovi cedimenti e misure precauzionali chiusi 60 chilometri di A3 Salerno-Reggio CalabriaSmottamento anche sulla ferrovia Potenza-Battipaglia, interrotti i collegamenti
Una frana in Calabria
VIBO VALENTIA - A pochi giorni dalla frana che ha ucciso due persone sull'autostrada Salerno-Reggio Calabria, il maltempo di questi giorni ha rischiato di provocare un'altra tragedia in Calabria. Un'enorme frana si è staccata questa notte dal costone che sovrasta Tropea, nota cittadina turistica sulla costa tirrenica, finendo sulla sottostante provinciale e poi fino al mare. Il crollo è avvenuto intorno alle 4. In quel momento, dato anche l'orario, non c'erano mezzi in transito. Sul luogo i vigili del fuoco e delle ruspe che stanno cercando di sgomberare i detriti che sono arrivati a poca distanza dal compresso alberghiero "Rocca Nettuno". Invaso anche il viale che porta al posto fisso della Polizia di Stato, chiuso al traffico. Altre frane minori si segnalano in tutto il vibonese. Oggi intanto, a Catanzaro, si svolgeranno i funerali della seconda vittima del disastro avvenuto domenica scorsa sull'A3, nel cosentino. Sulla stessa autostrada rimangono intanto molti disagi, amplificati da nuovi cedimenti del terreno. Sono ormai una sessantina i chilometri chiusi al traffico per frane o pericolo di frane. Oltre al tratto Cosenza Nord-Falerna, ieri sera il prefetto di Reggio Calabria Francesco Musolino ha disposto la chiusura del tratto Scilla-Villa San Giovanni. Oggi cominceranno le indagini geologiche sulla zona ed al momento, hanno riferito fonti della Prefettura, è impossibile fare previsioni sulla riapertura. Il risultato è che sulla statale 18, al momento l'unica via calabrese percorribile per i collegamenti nord-sud, si registrano incolonnamenti e disagi. Un'altra frana provocata dalle abbondanti piogge degli ultimi giorni ha invaso i binari fra le stazioni di Romagnano (Salerno) e Bella Muro (Potenza), costringendo le ferrovie a interrompere la linea Potenza-Battipaglia. Trenitalia ha programmato un piano di bus sostitutivi fino alle ore 15 per i collegamenti tra Taranto, Potenza, Battipaglia e Salerno. Nel frattempo, tecnici delle Ferrovie dello Stato sono al lavoro per liberare i binari dai detriti. Anche in questo caso è stato comunque evitato il peggio. Ieri sera, il treno regionale 12439 Salerno-Potenza ha riportato infatti danni in seguito all'urto con un masso, ma fortunatamente non vi sono stati contusi tra gli otto passeggeri che erano a bordo. Grossi problemi il maltempo li sta provocando anche a Napoli dove discesa Coroglio è stata chiusa al traffico in entrambi i sensi di marcia e una famiglia è stata evacuata a scopo precauzionale dopo il cedimento di parte della sommità del costone laterale dal lato della collina di Posillipo verificatosi la scorsa notte. Intanto in Sicilia si cerca ancora di individuare le responsabilità della tragedia avvenuta ieri quando una frana ha ucciso due operai a Caltanissetta. Di oggi è la conferma che l'Ufficio tecnico del Comune aveva intimato ai condomini dell'edificio di via Mario Gori di mettere in sicurezza il muro perimetrale del complesso crollato ieri pomeriggio. L'ordinanza risale al 29 ottobre scorso, dopo il sopralluogo dei tecnici effettuato in seguito a segnalazioni sulle lesioni del muro. Da qui l'ordine di consolidare il muro con interventi da effettuare con immediatezza, nel contempo il Comune aveva dichiarato l'inagibilità dell'area retrostante al condominio a causa dello stato di pericolo grave all'incolumità del privato e del pubblico.
Frana uccide due operai a CaltanissettaTerza vittima nel petrolchimico di Gela
Il sindaco: "La Protezione civile sapeva, mancavano i fondi"La procura apre un'inchiesta per accertare responsabilità nel crollo
Il luogo della frana
CALTANISSETTA - Una parte di montagna è franata a Caltanissetta travolgendo due operai che stavano eseguendo lavori di canalizzazione in via Mario Gori, nel quartiere Redentore. I soccorritori hanno estratto i corpi sepolti dalla terra e dal fango. Il terzo operaio che lavorava con i due compagni si è invece salvato perché si era allontanato poco prima del crollo. Le vittime della frana nel nisseno sono invece Santo Notarrigo, 37 anni, titolare della ditta che stava svolgendo i lavori, di Caltanissetta, e Felice Baldi, 19 anni, originario di un centro della provincia. Il corpo di Notarrigo è stato estratto subito dal fango, mentre quello di Baldi è stato individuato dai soccorritori dopo quasi un'ora di scavi. La procura di Caltanissetta ha aperto un fascicolo sulla frana, al momento a carico di ignoti, per accertare le responsabilità nel crollo. Lo smottamento, avvenuto in un'area condominiale sulla collina Sant'Anna, è stato causato dalle forti piogge cadute in questi giorni. La zona era già stata teatro di frane e l'allarme era alto, tanto che una ventina di famiglie erano state allontanate dalle loro case. La situazione era preoccupante, come ha confermato il sindaco della città, Salvatore Messana, che ha annunciato che proclamerà un giorno di lutto cittadino. "E' davvero una tragedia quella che è avvenuta. Una cosa è sicura - ha detto il primo cittadino - la situazione di dissesto idrogeologico di Caltanissetta è grave. Da tempo avevo sollecitato la Protezione civile a intervenire sulla collina Sant'Anna ma non è stato fatto nulla perché mi è stato risposto che mancavano i fondi necessari ai lavori di consolidamento'". I lavori erano stati commissionati dal condominio dopo che il Comune, per evitare pericoli, aveva emesso ordinanza di divieto di transito. Nel cantiere operavano ruspe e altri mezzi meccanici. Le vibrazioni, secondo una prima ipotesi, potrebbero aver favorito il distacco di un costone collinare, reso già instabile dalle piogge degli ultimi giorni. Secondo una prima ricostruzione dell'incidente, i due stavano lavorando per conto del condominio di via Mario Gori e con una piccola gru stavano tentando di scavare un canale per portare l'acqua piovana nella fognatura. Da alcune settimane, da quando ha iniziato a piovere in modo incessante, nella zona si sono verificati diversi cedimenti del terreno con infiltrazioni d'acqua, così il condominio aveva deciso di effettuare la canalizzazione dell'acqua per evitare danni al palazzo. Appena i due operai hanno cominciato a scavare, il muro di contenimento in cemento armato è crollato e li ha travolti. Il sindaco Messana ha sottolineato che "sono varie le zone delle città interessate da dissesto idrogeologico e per ora sono 60 le famiglie ospitate in alberghi dopo problemi idrogeologici verificatisi nella zona di Sant'Anna e santa Barbara a causa del fenomeno dei vulcanelli".

martedì 16 dicembre 2008

Il dissesto in Nicaragua (di Alessandro Davì)
















In un periodo in cui bisognerebbe sensibilizzare maggiormente la pubblica opinione sul problema del dissesto idrogeologico e dell'instabilità dei versanti l’idea di questo blog mi sembra consona e opportuna. Anche perché noi su questi versanti ci viviamo o ci costruiamo strutture, spesse volte in maniera sconsiderata, anche se a volte le spacciamo come progetti di primaria importanza per lo sviluppo industriale ed economico di una determinata regione.
Benché i miei studi mi abbiano avvicinato a problematiche di differente tipologia non nego che per la Geomorfologia in genere ho sempre nutrito un forte interesse, interesse ancestrale che mi riporta fino alla mia infanzia e al mio amore per la geografia.
Nel corso dei miei studi ho dovuto avvicinarmi a fenomeni gravitativi come (o affini a) crolli, colamenti e (soprattutto) lahar. Il tutto era canalizzato verso un mio studio su fenomeni di dissesto in ambiente vulcanico. E’ ovviamente superfluo sottolineare come un’attività eruttiva (in special modo di tipo pliniano) possa causare grandi stravolgimenti geologici regionali che esulano dal puro, specifico interesse vulcanologico o petrografico. Annosa è ad esempio la questione se bisogna considerare il "lahar" un evento puramente legato al vulcanismo (magari ad un vulcanismo secondario) o un meccanismo strettamente legato alla geomorfologia della regione sotto esame. La frammentazione di un magma durante un evento eruttivo pliniano può poi giocare un ruolo fondamentale nella tessitura e nella coesione di un sedimento sciolto: la frana di Sarno del 1988 fu un caso classico di tale dannosa combinazione: materiale piroclastico ricco in SiO2, finissimo, imbibito da acque meteoriche e reso instabile dall’attività antropica.
Molti di voi sanno che un mio campo d’indagine è stato, ovviamente per motivi di studio e di formazione accademica, l’America Centrale e principalmente il Nicaragua. Inoltre, visto che Leonardo espone nel suo articolo l’utilizzo di macchinari e strumentazioni tecnologicamente avanzate, sarebbe anche interessante confrontare le metodologie di ricerca e di approccio sperimentale tra un paese relativamente sviluppato tecnologicamente come l'Italia e un paese come il Nicaragua che ha forti motivazioni nel voler colmare certe lacune conoscitive che riguardano uno dei suoi problemi più pressanti come il dissesto idrogeologico. Ricordiamo che il Nicaragua essendo un paese di fascia tropicale ha un regime pluviometrico con un’altissima escursione di valori tra il "semestre umido" e il "semestre secco". Immaginate le condizioni di fissità e resistenza meccanica dei suoi versanti all’arrivo delle prime imponenti piogge torrenziali dopo sei mesi di totale siccità.
Le frane su cui mi sono soffermato in Nicaragua (soprattutto lahar) riguardano soprattutto la zona di Managua e la zona dei vulcani San Cristobal e Casitas (nella zona nord-ovest del paese). Allego a tale articolo alcune immagini interessanti e noterete che alcuni fenomeni di distacco sono estremamente notevoli.
La foto (1) è stata scattata dal sottoscritto durante un’escursione ai già citati S. Cristobal (a sinistra) e Casitas (a destra): notevole è a destra lo squarcio apertosi per un fenomeni gravitativi collegati all’attività dell’Uragano Mitch del 1998. L’evento può essere definito come un debris avalanche freddo che ha slabbrato il pendio, creando una discontinuità sul manto di vegetazione. La foto forse non renderà l'idea e l’imponenza del fenomeno ma, abbiate fiducia in chi c’è stato, è qualcosa di impressionante da vedere.
La foto (2) mostra lo stesso evento ma rende forse meglio l'idea del materiale depositatosi nel pedemont, tale foto è ricavata da una pubblicazione INETER (Instituto Nicaragüense Estudios Territoriales).
La foto (3), sempre scattata dal sottoscritto, mostra un altro edificio vulcanico nicaraguense: il Cerro Negro. Osserviamo come un evento franoso, probabilmente sincrono ad attività eruttiva di tipo stromboliano, ha fatto sì che l'accumulo di materiale juvenile (cenere e scorie) rendesse instabile il versante con conseguente franamento, anche se non mi sentirei di definirlo un lahar vero e proprio. Da un punto di vista puramente granulometrico potrebbe essere un colamento ma non vi è certezza che vi sia stato una contemporanea imbibizione del deposito dovuta ad attività meteorica.
La foto (4) mostra la situazione edile ai piedi di Cerro Los Martinez, un rilievo che lambisce la periferia ovest della città di Managua. L’immagine è ovviamente molto interessante perché mostra la situazione urbanistica (ovviamente disordinata e caotica) al piede di versanti così instabili. L’eccessivo disboscamento e la ricostruzione scriteriata e disordinata della città dopo il terremoto del 1972 (che la distrusse quasi totalmente) rendono altamente probabile l’innescarsi di eventi gravitativi catastrofici che in special modo interessano certi quartieri fatiscenti della periferia. Managua è una città di 1.500.000 abitanti.
Alcune ONG italiane furono incaricate di sviluppare una carta di microzonazione del rischio della città di Managua: si trattava di uno sviluppo in GIS al fine di correlare ogni lotto della città con le principali fonti di rischio (terremoti, precipitazioni, frane, alluvioni, eruzioni vulcaniche) ed eventualmente sviluppare una carta della pericolosità al fine di portare avanti migliorie infrastrutturali e opere preventive. Grandi difficoltà allo sviluppo di tale progetto furono causate da lentezze burocratiche e da inadeguatezza di conoscenze geologiche dell’area. Purtroppo ignoro lo stato di attuazione di tale progetto che avrebbe potuto sicuramente avere un’importanza reale e concreta.
L’immagine (5) non necessita ovviamente di commenti ulteriori ed evidenzia la situazione altamente precaria delle periferie cittadine addossatesi in maniera incontrollata a versanti fortemente instabili.
In molte pubblicazioni o in molti studi fatti da ricercatori europei, americani e giapponesi, non si parla di metodologie di monitoraggio e di controllo ma vengono trattati solo analisi cartografiche e geomorfologiche in GIS. Tale metodologia di studio poteva essere innovativa 10 o 15 anni fa, mentre oggi uno sviluppo in GIS è da considerare uno stadio introduttivo ad un più completo progetto di controllo strumentale e monitoraggio satellitare.
La proposta che faccio in tale blog è quella di tessere una trama di confronti legati a diverse tipologie di fenomeni franosi in base a quanto da noi studiato e osservato, quindi non soffermandoci solo all'arco alpino ma anche alla Sicilia e ad aree dall’intensa attività eruttiva come l'arco centroamericano. Si potrebbero portare avanti dei progetti o delle discussioni circa tecniche di monitoraggio più avanzato che potrebbero attecchire in aree non ancora avvezze ad un certo tipo di studio.
L’uomo, nel corso dei secoli ha impiegato le sue energie migliori nel raggiungimento della totale conoscenza della realtà con cui interagisce. A causa delle nostre limitazioni intellettive e sensoriali non possiamo conoscere la realtà nella sua assoluta essenza, poiché cerchiamo (o abbiamo la presunzione) di trarre delle leggi più o meno costanti e universali attraverso studi empirici, legati ai fenomeni che riusciamo soltanto ad osservare. Ergo, il Modello sarà per noi sempre e comunque un’approssimazione ma non sarà mai il vettore per una conoscenza completa.
Stat rosa pristine nomine, nomina nuda tenemus.




















sabato 6 dicembre 2008

Il laser a scansione per il monitoraggio di strutture antropiche




Generalmente uso il laser scanner per applicazioni molto diverse e comunque su ambiti di media scala come frane, discariche e cave. Il progetto in esame è invece consistito nella verifica della variazione del quadro fessurativo di alcune abitazioni come specchio dell'evoluzione di uno sprofondamento diffuso in un comune della Lombardia. Giacchè il progetto è attualmente ancora in itinere, mi limiterò alla descrizione delle attività e ometterò volontariamente i nomi dei luoghi.


Ad ogni modo questo comune della Lombardia è caratterizzato da uno sprofondamento circoscritto ad un settore del territorio comunale particolarmente carsificato. In questi luoghi è sorto un numero non irrilevante di abitazioni che, nel corso del tempo hanno cominciato a manifestare cedimenti diffusi, inclinazioni delle pareti (anche quelle portanti) fessurazioni anche molto profonde che non di rado hanno intaccato le strutture. Per ovvi motivi l'amministrazione comunale non è potuta intervenire direttamente sulle proprietà private e per questa ragione si è deciso di porre in essere un intervento di difesa del suolo particolare ed avanguardistico: lo scavo di una serie di trincee lungo gli assi viari del paese dai quali fare dipartire una serie di micropali orizzonatli a raggiera sui quali le abitazioni potessero scaricare il peso. Lungi da me valutazioni di merito circa la qualità del progetto (non è il mio mestiere) mi è stato comunque chiesto se fosse possibile effettuare delle valutazioni (di fatto super partes in concomitanza con il monitoraggio geotecnico effettuato dalla ditta incaricata delle palificazioni) circa gli spostamenti registrati dalle abitazioni durante gli scavi e nel periodo successivo al riassetto del territorio. La mia proposta di monitoraggio è stata quella di effettuare tre campagne di monitoraggio laser scanner da terra.


La prima campagna ha di fatto dato il quadro fessurativo iniziale (a mio avviso devastante ma forse ho un'idea di casa eccessivamente precisa!!). In seguito, dopo sei mesi ho effettuato, sulle stesse abitazioni e dagli stessi punti di presa una nuova serie di scansioni. La qualità ed il dettaglio delle scansioni è stato di un numero di punti fittissimo, al fine di poter ottenere un quadro realistico e di grande dettaglio anche di quelle fessure millimetriche. In seguito alle scansioni ho successivamente effettuato delle fotografie con la fotocmera incorporata sul laser. La fese di processamento (effettuata tramite il software JRC 3D Reconstructor - http://www.gexcel.it/) è consistita inizialmente nella referenziazione in comune di tutte le scansioni e di tutte le immagini al fine di creare dei modelli tridimensionali analoghi e perfettamente sovrapponibili per le due serie di scansioni. Successivamente ho effettuato due tipologie di prova: l'inspection automatica delle due mesh (confronto automatizzato delle triangolazioni delle nuvole di punti) ottenendo indicazioni di massima relativamente alle aree in cui le nuvole di punti non erano perfettamente sovrapposte. Il problema però in seguito a questa elaborazione è nato nel momento in cui la affidabilità dell'inspection di fatto è di un'ordine di grandezza pari alla dimensione della variazione di apertura delle fratture che mi aspettavo. Risultato: è vero che in alcuni casi l'inspection mi segna una variazione, ma quella variazione può stare anche all'interno dell'errore intrinseco della misura, o in alternativa se la inspection non mi segna nulla è anche possibile che non veda nulla in relazione al fatto che le variazioni di posizione sono inferiori numericamente alla definizione della scansione o della inspection stessa. Come operare allora? In questo senso la letteratura, ed anche gli ottimi programmi di elaborazione mi sono venuti incontro. E' infatti possibile creare delle ortofoto digitali delle mie scansioni ponendosi in posizione ortometrica appunto, ed in particolare fatta la mesh (triangolazione della scansione) e colorata con le foto digitali (ottenendo quindi una foto tridimensionale) per entrambe le serie discansioni si possono ottenere le ortofoto della prima serie e della seconda serie. Tramite il programma Kubit (http://www.gexcel.it/) è stato quindi possibile esportare in cad le ortofoto digitali e rimontare il mio oggetto in livelli diversi: livello ortofoto prima scansione, livello ortofoto seconda scansione, livello quadro fessurativo 1 (ricavato dalla copiatura a mano in cad delle fessure della prima serie di scansioni) e livello quadro fessurativo 2 (ricavato nella stessa maniera). Al termine di questa operazione il risultato è un confronto possibile dei quadri fessurativi delle due serie di scansioni in tutti i punti nei quali ho provveduto a rilevare le fessure.


Risultati. Le aree di variazione del quadro fessurativo corrispondono a quelle indicate anche superficialmente dalla inspection automatica in Recostructor (indice questo della buona qualità del prodotto informatico), in particolare è stato possibile verificare una variazione sostanziale del quadro fessurativo sia in termini di numero di fessure per unità di superficie che per estensione delle fessure stesse. Le fessure maggiori infatti hanno aumentato la loro permanenza e dimensione longitudinale, mentre di norma quelle minori hanno conservato la loro estensione.


I dati sono stati poi suffragati anche da quelli dei fessurimetri.


Riflessione. I fessurimetri sono strumenti estremamente affidabili che permettono anche il monitoraggio in continuo delle fessure; il limite dell'uso dei fessurimetri è però che se una fessura nuova si apre a due centrimetri da quella vecchia e con una dimensione anche di 50 cm il fessurimetro non se ne accorge. Ecco quindi la validità del dato laser scanner in queste condizioni. Ovviamente i costi sono diversi in termini di tempo e di fatica benchè comunque un impianto in telemisura per un numero di fessure anche della metà di quelle osservate con il laser risulta con i fessurimetri sicuramente più oneroso.


Riflessioni?