martedì 16 dicembre 2008

Il dissesto in Nicaragua (di Alessandro Davì)
















In un periodo in cui bisognerebbe sensibilizzare maggiormente la pubblica opinione sul problema del dissesto idrogeologico e dell'instabilità dei versanti l’idea di questo blog mi sembra consona e opportuna. Anche perché noi su questi versanti ci viviamo o ci costruiamo strutture, spesse volte in maniera sconsiderata, anche se a volte le spacciamo come progetti di primaria importanza per lo sviluppo industriale ed economico di una determinata regione.
Benché i miei studi mi abbiano avvicinato a problematiche di differente tipologia non nego che per la Geomorfologia in genere ho sempre nutrito un forte interesse, interesse ancestrale che mi riporta fino alla mia infanzia e al mio amore per la geografia.
Nel corso dei miei studi ho dovuto avvicinarmi a fenomeni gravitativi come (o affini a) crolli, colamenti e (soprattutto) lahar. Il tutto era canalizzato verso un mio studio su fenomeni di dissesto in ambiente vulcanico. E’ ovviamente superfluo sottolineare come un’attività eruttiva (in special modo di tipo pliniano) possa causare grandi stravolgimenti geologici regionali che esulano dal puro, specifico interesse vulcanologico o petrografico. Annosa è ad esempio la questione se bisogna considerare il "lahar" un evento puramente legato al vulcanismo (magari ad un vulcanismo secondario) o un meccanismo strettamente legato alla geomorfologia della regione sotto esame. La frammentazione di un magma durante un evento eruttivo pliniano può poi giocare un ruolo fondamentale nella tessitura e nella coesione di un sedimento sciolto: la frana di Sarno del 1988 fu un caso classico di tale dannosa combinazione: materiale piroclastico ricco in SiO2, finissimo, imbibito da acque meteoriche e reso instabile dall’attività antropica.
Molti di voi sanno che un mio campo d’indagine è stato, ovviamente per motivi di studio e di formazione accademica, l’America Centrale e principalmente il Nicaragua. Inoltre, visto che Leonardo espone nel suo articolo l’utilizzo di macchinari e strumentazioni tecnologicamente avanzate, sarebbe anche interessante confrontare le metodologie di ricerca e di approccio sperimentale tra un paese relativamente sviluppato tecnologicamente come l'Italia e un paese come il Nicaragua che ha forti motivazioni nel voler colmare certe lacune conoscitive che riguardano uno dei suoi problemi più pressanti come il dissesto idrogeologico. Ricordiamo che il Nicaragua essendo un paese di fascia tropicale ha un regime pluviometrico con un’altissima escursione di valori tra il "semestre umido" e il "semestre secco". Immaginate le condizioni di fissità e resistenza meccanica dei suoi versanti all’arrivo delle prime imponenti piogge torrenziali dopo sei mesi di totale siccità.
Le frane su cui mi sono soffermato in Nicaragua (soprattutto lahar) riguardano soprattutto la zona di Managua e la zona dei vulcani San Cristobal e Casitas (nella zona nord-ovest del paese). Allego a tale articolo alcune immagini interessanti e noterete che alcuni fenomeni di distacco sono estremamente notevoli.
La foto (1) è stata scattata dal sottoscritto durante un’escursione ai già citati S. Cristobal (a sinistra) e Casitas (a destra): notevole è a destra lo squarcio apertosi per un fenomeni gravitativi collegati all’attività dell’Uragano Mitch del 1998. L’evento può essere definito come un debris avalanche freddo che ha slabbrato il pendio, creando una discontinuità sul manto di vegetazione. La foto forse non renderà l'idea e l’imponenza del fenomeno ma, abbiate fiducia in chi c’è stato, è qualcosa di impressionante da vedere.
La foto (2) mostra lo stesso evento ma rende forse meglio l'idea del materiale depositatosi nel pedemont, tale foto è ricavata da una pubblicazione INETER (Instituto Nicaragüense Estudios Territoriales).
La foto (3), sempre scattata dal sottoscritto, mostra un altro edificio vulcanico nicaraguense: il Cerro Negro. Osserviamo come un evento franoso, probabilmente sincrono ad attività eruttiva di tipo stromboliano, ha fatto sì che l'accumulo di materiale juvenile (cenere e scorie) rendesse instabile il versante con conseguente franamento, anche se non mi sentirei di definirlo un lahar vero e proprio. Da un punto di vista puramente granulometrico potrebbe essere un colamento ma non vi è certezza che vi sia stato una contemporanea imbibizione del deposito dovuta ad attività meteorica.
La foto (4) mostra la situazione edile ai piedi di Cerro Los Martinez, un rilievo che lambisce la periferia ovest della città di Managua. L’immagine è ovviamente molto interessante perché mostra la situazione urbanistica (ovviamente disordinata e caotica) al piede di versanti così instabili. L’eccessivo disboscamento e la ricostruzione scriteriata e disordinata della città dopo il terremoto del 1972 (che la distrusse quasi totalmente) rendono altamente probabile l’innescarsi di eventi gravitativi catastrofici che in special modo interessano certi quartieri fatiscenti della periferia. Managua è una città di 1.500.000 abitanti.
Alcune ONG italiane furono incaricate di sviluppare una carta di microzonazione del rischio della città di Managua: si trattava di uno sviluppo in GIS al fine di correlare ogni lotto della città con le principali fonti di rischio (terremoti, precipitazioni, frane, alluvioni, eruzioni vulcaniche) ed eventualmente sviluppare una carta della pericolosità al fine di portare avanti migliorie infrastrutturali e opere preventive. Grandi difficoltà allo sviluppo di tale progetto furono causate da lentezze burocratiche e da inadeguatezza di conoscenze geologiche dell’area. Purtroppo ignoro lo stato di attuazione di tale progetto che avrebbe potuto sicuramente avere un’importanza reale e concreta.
L’immagine (5) non necessita ovviamente di commenti ulteriori ed evidenzia la situazione altamente precaria delle periferie cittadine addossatesi in maniera incontrollata a versanti fortemente instabili.
In molte pubblicazioni o in molti studi fatti da ricercatori europei, americani e giapponesi, non si parla di metodologie di monitoraggio e di controllo ma vengono trattati solo analisi cartografiche e geomorfologiche in GIS. Tale metodologia di studio poteva essere innovativa 10 o 15 anni fa, mentre oggi uno sviluppo in GIS è da considerare uno stadio introduttivo ad un più completo progetto di controllo strumentale e monitoraggio satellitare.
La proposta che faccio in tale blog è quella di tessere una trama di confronti legati a diverse tipologie di fenomeni franosi in base a quanto da noi studiato e osservato, quindi non soffermandoci solo all'arco alpino ma anche alla Sicilia e ad aree dall’intensa attività eruttiva come l'arco centroamericano. Si potrebbero portare avanti dei progetti o delle discussioni circa tecniche di monitoraggio più avanzato che potrebbero attecchire in aree non ancora avvezze ad un certo tipo di studio.
L’uomo, nel corso dei secoli ha impiegato le sue energie migliori nel raggiungimento della totale conoscenza della realtà con cui interagisce. A causa delle nostre limitazioni intellettive e sensoriali non possiamo conoscere la realtà nella sua assoluta essenza, poiché cerchiamo (o abbiamo la presunzione) di trarre delle leggi più o meno costanti e universali attraverso studi empirici, legati ai fenomeni che riusciamo soltanto ad osservare. Ergo, il Modello sarà per noi sempre e comunque un’approssimazione ma non sarà mai il vettore per una conoscenza completa.
Stat rosa pristine nomine, nomina nuda tenemus.




















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